In gita a Lucca durante la Messa in Duomo, cui mi è capitato di assistere per breve tempo dal momento che ero entrato per visitare la chiesa, le parole dell’omelia del celebrante mi sono particolarmente piaciute. Egli insisteva sulla necessità, per il credente, di vivere la propria fede manifestandola e praticandola con animo gentile e tollerante, di rendere testimonianza con i propri atti, gesti e parole, e non professando di trovarsi in possesso di una supposta “Verità” superiore e di trattare con sufficienza quanti quella verità non condividono.
Ieri è morta mia nonna Mosella, alla soglia degli 87 anni.
Negli ultimi tempi le sue condizioni erano alquanto gravi, non tanto sul piano fisico, quanto su quello mentale. Veniva lecito domandarsi se la sua vita fosse ancora degna di esser vissuta. Aveva momenti di lucidità, e più volte ti poneva lei stessa la drammatica questione: sarebbe stato meglio esser già morti. Rispondere a simili argomentazioni non è affatto facile. Anche esistendo la possibilità dell’eutanasia, in coscienza, quanto è facile e/o giusto, in un momento del genere, orientare qualcuno verso una simile scelta? A tal proposito riporto solamente il link a un documento sul sito dell’UAAR e parte di un’intervista a Montanelli.
A prendersi cura di mia nonna ultimamente erano le suore della casa di cura San Giuseppe a San Casciano. Certamente non gratis, ma con ben altro rispetto e cura per la persona in confronto a strutture analoghe che accompagnano persone come mia nonna fino alla morte. Non posso fare a meno di riconoscere che queste suore, pur di certo fedeli a quanto il Vaticano ci propina paternalisticamente, diano quotidiana testimonianza della loro scelta di vita con grandissima umiltà.